Ripetizione e ritrascrizione (1994) di Arnold H. Modell
Dott. Luigi Antonio Perrotta
La coazione a ripetere, riprendendo Laplance e Pontalis, “al livello della psicopatologia concreta, è un processo incoercibile e di origine inconscia, con cui il soggetto si pone attivamente in situazioni penose, ripetendo così vecchie esperienze senza ricordarsi del prototipo e con invece l’impressione molto viva che si tratti di qualcosa che è pienamente motivato nella situazione attuale”. La nozione di coazione a ripetere è centrale nel lavoro al di là del principio di piacere (Freud 1920), in cui Freud rimette in questione alcuni concetti fondamentali della sua teoria, riflettendo su aspetti cruciali come pulsione e pulsione di morte. Quest’ultimo elemento è piuttosto spinoso e sostanzierebbe la coazione a ripetere, postulando “una forza naturale che trascende il desiderio evidente di tutti gli esseri sensibili di cercare il piacere e di evitare il dolore” (Modell 1994, 69). Tuttavia, una forza di questo tipo non ha una collocazione chiara nella biologia e la teorizzazione freudiana, per quanto Freud stesso intuisce che la ripetizione sia un fenomeno biologico fondamentale, necessita di essere ripensata alla luce di nuove ricerche.
La ripetizione è un elemento centrale anche nel transfert. Fenomeno che, prima considerato al servizio della resistenza, è poi diventato il pilastro fondante del processo analitico e un aspetto fondamentale per il conseguimento della cura. “La ripetizione del transfert è il mezzo, e forse l’unico mezzo, per realizzare dei cambiamenti terapeutici” (Modell 1994, pag. 70). Questa ripetizione è l’unico modo per consentire di osservare la riproposizione di qualcosa non correttamente elaborato che ri-torna perché venga compreso ed inserito in un discorso in grado di renderlo pensabile. La ripetizione, precisa Modell, la si può intendere o come un processo passivo oppure come il tentativo di padroneggiare attivamente qualcosa che può essere trasformato. Le azioni ripetitive espresse nel transfert erano considerate da Freud come un’alternativa al ricordare, rimarcando proprio l’azione stessa della resistenza all’emergere del ricordo e dell’elaborazione degli affetti ad esso collegati. Lo stesso Freud colse l’importanza, in un secondo momento, della ripetizione come modo attraverso cui il processo di cura poteva avvenire, infatti “nessuno può essere battuto in absentia o in effigie (Freud 1912) e il fatto che qualcosa ritorni, consente alla coppia analitica di coglierlo nella sua stessa ripetizione prima, renderlo visibile e pensarlo successivamente. Se da un lato, a questo punto, autori come Loewald affermano che “ripetizione significa nuove configurazioni possibili e nuove risoluzioni del conflitto (1980 in Modell 1994, pag. 71) per Freud era una delle espressioni dirette proprio della pulsione di morte. Il quesito centrale che Modell pone al centro della sua riflessione, a questo punto, è quello di come la coazione a ripetere possa rappresentare, per quanto cieca e distruttiva, il mezzo per acquisire un nuovo apprendimento e non solo, anche come può collocarsi, nell’orizzonte biologico e scientifico attuale, il concetto stesso di pulsione di morte. Una riflessione che orienta ad una visione più complessa della ripetizione si può addurre proprio in Al di là del principio di piacere, dove Freud descrive il gioco di un bambino che prima lancia un rocchetto, nascondendolo, per poi recuperarlo. Ciò che si realizza, e che si agisce, è un atto mimetico con cui il bambino tenta di padroneggiare il dolore della lontananza della madre. Sembra evidente, in questo scorcio, come la ripetizione di un comportamento assuma una valenza simbolica per affrontare un affetto non elaborato. Concentrandosi sull’inevitabilità della ripetizione nel tempo lineare, Freud mette da parte, senza pertanto ampliare e collegare, le sue riflessioni riguardo il concetto di Nachträglickheit (Posteriorità). Essa rappresenta, infatti, l’azione attraverso cui affetti, ricordi non assimilati o traumatici vengono successivamente modificati dal soggetto, e presuppone dunque un ritorno su e di aspetti non “digeriti” e una loro riproposizione perché il processo stesso di elaborazione possa realizzarsi, in nuovi contesti e in diversi momenti. La Nachträglickheit, evidenzia Edelman, è una caratteristica universale della psicologia umana, e del sistema nervoso, per stabilire identità percettive di ricordi categoriali.
In Neural Darwinism, Edelman offre una nuova e rivoluzionaria concezione della percezione, dei processi cognitivi e della memoria e quest’ultima non consiste in una registrazione della realtà, quanto piuttosto in una “ricostruzione dinamica legata al contesto e stabilita per mezzo di categorie” (Modell 1994, 69) in cui l’attività del soggetto e la soggettività della sua esperienza sono fattori centrali. Secondo questa teoria anche “la ripetizione cognitiva attraverso la ricreazione della memoria categoriale è un principio biologico fondamentale” e, aggiunge Modell, “la teoria di Edelman è anche una teoria della ripetizione” elaborata proprio alla luce delle nuove ricerche neuroscientifiche, dalla cui prospettiva si può ri-leggere l’azione stessa del transfert, della coazione a ripetere e del loro ruolo all’interno del processo psicoanalitico, comprendendone la funzione evolutiva e trasformativa e dando un significato diverso e più complesso al controverso concetto di pulsione di morte.
Edemlan approfondendo gli studi sulla percezione, evidenzia come essa sia un processo attivo, sostenuto dall’attività motoria; di riscoperta, un ricorso a categorie già utilizzate dal soggetto, contenute nella sua memoria. Da questa prospettiva la coazione a ripetere “rappresenta una coazione a cercare un’identità percettiva tra gli oggetti presenti e quelli passati” (Modell 1994, pag. 73). Il ritrovamento di categorie già presenti: memoria categoriale, è una funzione riscontrata anche nelle specie animali inferiori e porta ad assumerla, pertanto, come una “proprietà trascendente del sistema nervoso centrale”. In questi termini Edelman fornisce un’alternativa alla pulsione di morte postulata da Freud, considerando il ricorso alla ripetizione come un’abilità fondamentale, evidenziando la sua valenza trasformativa, poiché, “la ripetizione di categorie affettive dolorose è una modalità cognitiva essenziale. In questo processo l’apparato motorio del paziente (affetti) evoca le risposte affettive del terapeuta per trovare una corrispondenza percettiva (come vedremo, nel controtransfert), allo scopo di costituire una categoria affettiva” (Modell 1994, 70). Attraverso questo processo, attivo, le categorie a cui si tenta di ricondurre i nuovi elementi, provenienti dalla realtà percepita e vissuta dal soggetto, si ampliano. Per Edelman, dunque, l’azione motoria è fondamentale per la percezione che consiste “nel ritrovamento di categorie già immagazzinate nella memoria e tale ritrovamento necessita, appunto, di azioni ripetitive mediante le quali, e anche Freud l’intuì, l’ambiente viene periodicamente saggiato e testato”. In questo modo, le novità che il soggetto incontra “conducono alla ritrascrizione del ricordo in un nuovo contesto”. (Modell 1994, pag. 73).
Sarebbe proprio in questo processo di scrittura, ritorno e ri-scrittura che Edelman confermerebbe ciò che Freud aveva intuito nel concetto di Nachträglickheit. La differenza sta nel fatto che Freud non riconobbe la funzione di ri-trovamento di categorie, quanto postulava la presenza di tracce mnestiche permanenti immagazzinate dal soggetto.
Ampliando la riflessione di Edemlan al transfert, esso lo si può intendere come “una modalità della percezione in cui una vecchia categoria viene imposta su un oggetto nuovo, creando la coazione a cercare un’identità percettiva tra il passato e il presente” (Modell 1994, pag. 74). Il transfert ripropone nel qui ed ora, nella relazione con il terapeuta, uno “stampo interno” del paziente. Ciò che l’analisi consente, per sua strutturazione, è un lavoro in cui è possibile ampliare “sia il potenziale delle vecchie percezioni che le ritrascrizioni di nuove percezioni”. E nel transfert, l’azione motoria, che è fondamentale per il processo percettivo, è caratterizzata dell’espressione affettiva. Sono gli affetti a rappresentare l’azione del transfert e consentono di riportare alla memoria esperienze passate. Secondo Edelman sia “l’esperienza affettiva che le fantasie cariche affettivamente sono immagazzinate in modo analogo alla memoria categoriale”. Ciò che Freud definiva complesso, può essere ricondotto nell’orizzonte biologico da Edelman che lo riesamina come categoria affettiva che rappresenta una trauma non assimilato, una fantasia patogena che ritorna nel presente, “sporcandolo”, (ciò che capita con e nel transfert) e che evocherà nell’altro (in questo caso nell’analista, in grado di comprenderlo) una risposta affettiva che vi corrisponde, attivando il fenomeno del controtransfert.
“Il ricorso nel presente di categorie arcaiche e già utilizzate è una modalità basilare dei processi cognitivi” (Modell 1994, pag. 76). La questione è di tipo quantitativo e quando le categorie affettive arcaiche sono predominanti sulle percezioni attuali, questo contribuisce a determinare la psicopatologia. Sarebbe infatti lecito supporre che il disagio mentale non nasce tanto da un “disadattamento” quanto da un iper-adattamento, rigido e ricorsivo, ad una sola “lettura”, ossia ad una percezione, della realtà e di sé stessi, che il soggetto stesso contribuisce a mantenere stabile, falsificando anche i nuovi investimenti oggettuali, e in cui inconsapevolmente cerca di coinvolgere anche gli altri, chiedendo di confermare la propria visione delle cose (come nell’identificazione proiettiva nei casi più gravi).
Nella ripetitiva proposizione di categorie affettive, da parte del paziente, si può far notare la possibilità, come tentativo, non ancora possibile, né riuscito, di venire a capo degli affetti sottostanti e non contattabili, ma solo riproposti come agiti. Con questo processo, che testa e “modifica” la realtà della relazione tra paziente e analista, con le conseguenti risposte sollecitate nello stesso analista, si può accedere, nei limiti stessi della struttura del paziente e della relazione terapeutica, la possibilità di scoprire le passate categorizzazioni e ampliarle con i nuovi elementi percettivi che si assimilano a partire proprio dalla nuova esperienza di cura e dalla nuova relazione con l’analista. “Risulta evidente che il terapeuta viene coinvolto in qualità di necessario collaboratore nel processo di addestramento affettivo o, per dirla in modo più accurato, di riaddestramento affettivo […] ciò che si nota è la ripetizione di ciò che è stato sperimentato nel passato e la successiva ricerca di ciò che avrebbe dovuto accadere ma non è accaduto” (Modell 1994, pag. 79).
È evidente come, nel corso dello sviluppo, sia fondamentale da parte del soggetto accudente, rendere identificabili gli stati affettivi del bambino. La capacità di tollerare gli stati affettivi è un aspetto che rientra nel temperamento soggettivo e quanto il temperamento sia fisso e geneticamente determinato e quanto modificabile, in rapporto alle esperienze, è una questione ancora da chiarire. In ogni caso, nello sviluppo della capacità di contenere i propri affetti, è fondamentale il ruolo materno di elaborazione di tali affetti. Il processo analitico consente, utilizzando le risposte affettive del terapeuta, di lavorare i deficit affettivi del paziente, infatti “numerosi pazienti rivolgono al proprio terapeuta la richiesta di identificare quanto stanno sentendo perché mancano della capacità di percepire i propri affetti” (Modell 1994, pag. 82). Con le operazioni di ri-trascrizione descritte da Edelman è evidente come l’uso del paziente delle risposte affettive dell’analista può anche essere posto al servizio della riparazione di deficit evolutivi, perché le risposte affettive dell’analista possono definire una sostituzione di quanto mancava. “Possiamo osservare il fatto che a volte i pazienti useranno le risposte affettive del terapeuta come un modello da emulare ed interiorizzare” (Modell 1994, pag. 84).
In questa attuale cornice teorica, con gli ultimi sviluppi delle neuroscienze, anche il sapere psicoanalitico può consentirsi di incontrare nuovi “percetti di conoscenza”, ampliando le sue vecchie categorie e strutturando nuove concettualizzazioni, che danno una forma più precisa ed un’elaborazione più ampia, completa e rinnovata, alle iniziali intuizioni di Freud e a quelle dei suoi successori. Anche questo processo di ri-lettura dei testi classici, infatti, alla presenza di “nuovi contesti attuali”, ci restituisce l’importanza e l’aspetto evolutivo di una certa “ripetizione”, al servizio della crescita, come atto di approfondimento e di ricerca di “nuove possibilità”.