La cornice analitica è un contenitore all’interno del quale avviene il trattamento. Sebbene il termine evochi la cornice di un quadro, il concetto non è assolutamente così rigido. Piuttosto è un insieme dinamico e flessibile di condizioni che riflettono i continui sforzi dell’analista di rispondere al paziente e di creare un ambiente ottimale per il lavoro analitico (Gabbard, e Lester, Violazioni del setting, Raffaello Cortina 1995 ). L’impatto emotivo degli interventi del terapeuta – interpretazioni, domande, il silenzio stesso – nello svolgimento della comunicazione interpersonale viene sempre più sottolineato come fattore intrinseco alla tecnica stessa. A questo proposito un brano di Greenson sulle difficoltà della professione analitica tratto dal testo “Esplorazioni Psicoanalitiche”, appare piuttosto illuminante:
“Le cose diventano più complicate perché l’ analista deve essere capace di comunicare non solo attraverso le parole e il tono della voce, ma anche con il silenzio, il che è molto differente. Egli deve sapere quando e come tacere, e deve anche comprendere i molti significati che il silenzio assume per il paziente, quando è confortante e rassicurante, e quando invece diventa distante e ostile. Deve essere capace di cogliere quando il silenzio è caldo e quando è freddo; quando è di approvazione, quando è interrogativo, ed esigente, quando infine tende a essere percepito come una terribile tensione e come critica. L’analista non può fare queste delicate riflessioni solo con il suo intelletto cosciente, deve farle anche a livello preconscio, inconscio e attraverso l’empatia.”